mercoledì 8 maggio 2013

Il Ponce alla Livornese: storia & varianti della livornesità!

Allora, ovviamente chi è toscano (ma anche non) conosce sicuramente il ponce alla livornese almeno di nome! E, il labronico uomo, è risaputo, non riesce a viver senza per più di 3 giorni.
Come avrete intuito, è abbastanza facile da trovare il ponce nei miei dintorni (Pisa e Livorno): basta addentrarsi in un qualunque bar (meglio se ha l'aspetto di una bettola familiare trasandata) e urlare "Barrista, fammi 'n ponce 'ome si 'omanda, diogristo!"

Perché un livornese allora, vista la notorietà di suddetta specialità da "barre", si prepone alla stesura d'un post sul sopracitato? "De è semplice, ché su internette mi'a si trova un cazzo di varcosa scritto ammodino de!  Ognuno scrive le su' tre puttanate, arcune giuste arcune sbagliate, maddè un c'è un cazzo di chiarezza unifi'atoria! De!"

Eppoi de, m'andava. Perché a me, ir ponce, MI GARBA. (e anche a voi)

Sappiate un po' di storia prima di tutto, che la trovate un po' ovunque sul web: il ponce nasce a Livorno, da cui alla "livonese", ma perché? Beh, intanto immaginatevi: siamo nell'800, e la città di Livorno è al massimo del suo splendore della sua storia "ufficiale", che ne fissa la fondazione nel '500 su progetto del Buontalenti come "città ideale" (infatti Livorno, o meglio di insediamenti in terra livornese, se ne ha traccia grazie a Rutilio Namaziano nel IV sec. d.C., sotto il nome di Portus Pisanus, all'incirca dove ora vi è Stagno). Città di mare da sempre, ospita grazie alle leggi livornine (primo esempio di leggi di uguaglianza totale nella storia) molteplici comunità: olandese-alemanna, ebraica, valdese, greca, inglese! E insomma, chiunque volesse trovava in Livorno un porto franco dove essere accettato: quindi, tradotto, un gran casino di genti! De!
Comunque, si diceva del ponce: a fronte di varie leggende metropolitane con vascelli naufragati, balle di caffè e barili di rum, molto probabilmente la nascita del ponce è a cavallo tra il 1600 e il 1700, soprattutto con l'intento di fare una variante italiana (livornese) della bevanda preferita dai marinai inglesi (e quindi intascare più soRdi!), il Grog.

Vediamo com'è fatto sto benedetto Grog! (un si finisce più)
In pratica il grog è semplicemente rum e acqua calda (che allunga il rum e fa costare meno la bevanda, rendendola allo stesso tempo fortificante (calore)) con succo di limone (per prevenire lo scorbuto, nota malattia dei marinai dovuta alla mancanza di vitamina C).
Dal grog poi deriva anche il punch inglese, la bevanda degli aristocratici inglesi, che è semplicemente alcool (rum il più delle volte), tè (o acqua alle volte), agrumi ed eventuali erbe speziali.
Chi conosce già la ricetta del ponce, avrà intuito che il passo dall'inglese grog al labronico ponce è solamente questione di abitudini nei beveraggi!

Il ponce altro non è che rum con zucchero, scaldato a scioglimento, caffè bollente e buccia di limone. Vi sembra un caffè corretto? Bevetelo e vedrete che non è così. Ma molto, molto meglio!

Sti furboni di livornesi hanno in pratica sostituito al rum puro (quello inglese era bianco (trasparente), perché non caramellato) con una mistura di rum (bianco anch'esso) e sassolino (liquore a base di anice simile alla sambuca), al tè/acqua calda il caffè ristretto, e come agrume hanno mantenuto il limone, ma anzichè come succo (nel grog) o a pezzi (nel punch), hanno messo solo una buccia. Una specialità alcolica locale buonissima, che strizzava l'occhio alla tradizione inglese: il top per un marinaio in visita!

Da qui il ponce nasce, e ancora altre leggende (mica solo io mi ci fo i "segoni", si dice qua) narrano che addirittura Garibaldi l'abbia assaggiato e gradito, oppure che Buffalo Bill ci abbia preso una "musata" con conseguente figura di merda con questo "ponce"... ma insomma, per me restano tutte leggende e ghirigori per addobbarne la storia: il succo è che è BONO!

La ricetta "originale" quindi prevede:
  • rum bianco delle Antille da correzione (vabè se un è delle Antille è uguale de...! L'importante è che sia da "correzione", quindi NON un rum raffinato con le sfumature che solo le papille gustative di un raffinato borghesuccio riesce ad apprezzare perché le ha lette da qualche parte)
  • sassolino
  • zucchero
  • caffè forte
  • buccia di limone
La preparazione!

Oggi si può trovare ancora questa miscela, la riconoscete subito perché vi verrà servita a "strati": in pratica si prende il cosiddetto gottino, un bicchierino da vino diverso da quelli da caffè, e ci si mette 1 cucchiaino e mezzo di zucchero, e poi si riempe in parti uguali di sassolino e rum bianco fino all'altezza dei semicerchi. Si aggiunge la buccia, e si da una passata col beccuccio della macchina da caffè, fino a scaldare il tutto sciogliendo lo zucchero. Poi si aggiunge il caffè ristretto, avendo l'accortezza di non farlo andare direttamente sulla miscela che abbiamo scaldato, ma facendolo cascare su un cucchiaino girato al contrario, cosicché il caffè possa colare delicatamente nel bicchiere, mantenedo quindi i tre strati nel gottino (1_rum+sassolino, 2_caffè, 3_buccia di limone (la cosiddetta "vela")).

Una volta servito, ovviamente va girato da chi lo beve, e in compagnia preferibilmente o quando fa freddo! Ma insomma, va sempre bene per noi briaoni...E lo possiamo pure chiamare "ponce a vela"!

Nel 1927 il sig. rag. blablabla Gastone Vittori inventa però un preparato per noi pigri, cioè quelli che un gli va di seguire la procedura rituale cui sopra, sia per versare il caffè sul cucchiaino o per mescolare rum e sassolino, inventa un preparato speciale per il ponce, il cosiddetto "rum fantasia". In pratìa, si mette con le stesse dosi di prima, il rhum fantasia, lo zucchero e il limone, si scalda e si mette il caffè. Uguale, ma meno bòno seondo me.

Da allora ne sono stati fatti altri di preparati, tra i quali spicca quello della Mugnetti, particolarmente buono!

Comunque, se siete poveri tipo me, anziché rum bianco col sassolino puoi mettere il preparato con la sambuca, zucchero e limone in un pentolino, scaldarlo e versarci sopra il caffè della moka, proprio casalingo abbestia! Poi ci sono un sacco di varianti, che aggiungono al caffè (polvere) degli aromi, come lo zenzero o il peperoncino, oppure usare al posto del sassolino un qualsiasi altro liquore all'anice come il mistrà, insomma potete fare cosa vi pare, l'importante è che un ne beviate troppi.... oppure sì?



------------------
Bravi bimbi avete letto tutto! De! E ora FATEVELO. Anche se fosse agosto, con 35°. NDIAMO!

domenica 10 giugno 2012

Nozioni Base di Fotografia: Flash! (prima parte)


Nelle precedenti puntate:

Quale macchina scegliere?
Come funziona la macchina fotografica?
L'esposizione (parte prima)
Gli Otturatori

FLASH! (parte prima)

L'avete usato tante volte, l'avete visto tante volte, e l'avete sicuramente maledetto quella sera che eravate ubriachi, quando vi ha immortalato nella vostra forma migliore da far vedere ai posteri, ed in un futuro lontano, oppure un giorno vicino, quando direte ai vostri figli di non bere vi tornerà in mente quella foto, e sentirete un tremito di vergogna dentro di voi che vi dice “con che coraggio glielo sto dicendo?”. E tutto per un piccolo flash notturno di una misera compattina!

Già, i flash delle compattine. Quegli aggeggi che vi fanno sembrare spesso come degli extraterrestri dagli occhi rossi, quelli che fanno perdere diottrie ad ogni lampo. Ma il flash non è solo per la notte e per biechi ricatti! (anche se queste cose le fa bene)

Allora dato che l'argomento è un po' più complesso dello “sparaflesha e sputtana in pubblico”, secondo me è bene fare subito su di esso un po' di... luce! Ahahah! (no eh?)

Okay, allora cominciamo ad analizzare il flash, il suo funzionamento, e le sue caratteristiche un po' più approfonditamente!

Bene, sappiate mortali che oggi esistono tre macrotipi di flash:

  1. Integrati
  2. Esterni con montaggio sul corpo macchina (Cobra, Anulari, Torcia)
  3. Esterni con stativi

Prima esistevano anche quelli con accensione manuale, nell'800, ma non credo siano pratici o vogliate usarli... se siete sani di mente.

Gli integrati sono quelli che vediamo tutti in tutte le macchine fotografiche, sono più o meno potenti, e generalmente non sono regolabili. Sono alimentati direttamente dalla batteria della macchina fotografica o nelle analogiche da due pile stilo. Sono loro che vi ricattano di solito, ed il loro uso è principalmente quello.




Gli esterni con montaggio sul corpo macchina sono dei flash semiprofessionali o professionali, che permettono un controllo dell'intensità della luce, e della diffusione e del colore grazie ad eventuali filtri da porre davanti alla lampada. Di solito si montano con una “slitta” (un innesto meccanico a scorrimento e successivo bloccaggio) sopra la macchina fotografica (slitta “calda”, cioè con collegamenti elettrici macchina-flash, o slitta “fredda”, solo di montaggio), ma esistono anche flash a forma di corona da montare direttamente sull'obiettivo, usati nella fotografia macro. Esistono poi anche dei flash con montaggio laterale, tramite una staffa, per via del peso: infatti, essendo molto potenti questi ultimi, necessitano di molta energia per funzionare e quindi di una grande (e PESANTE) batteria, per cui solo la slitta si rivela insufficiente.






I flash esterni con stativi sono flash professionali di varia levatura, sono programmabili e devono essere attaccati alla corrente elettrica, quindi li vedrete solamente negli studi fotografici. Se li vedrete!





Dato che io sto scrivendo per me e per voi, e VOI non siete professionisti (spero, perché sbaglierete alla grande a leggermi) e IO non sono un fotografo ma solo un appassionato, direi che scriverò a riguardo solamente del tipo 2.

Bene.

Siete arrivati fin qui. Almeno vi interessa, sembra.

Se vi interessa, probabilmente ne vorrete comprare uno (o l'avete già fatto), e la prima domanda che sorge a tutti (sempre) quando qualcuno vuole comprare un flash è:

“Quanto cazzo è potente 'sto flèshe? Boia de?”

L'industria o i fotografi (non so chi) pensando a noi (grazie), hanno inventato un numero magico, il Numero Guida (NG), che ci narra della potenza luminosa che il nostro flash può sprigionare in un lampo al nostro comando! (ah, ogni “flash” si chiama “lampo” in realtà, ma insomma ci capiamo no...?)

Sto benedetto NG però è bello complicato da intendersi nella sua più pura spiegazione fisica! Basti sapere che più è grande più è potente. Siccome però non ci accontentiamo, allora vediamo cos'è sto benedetto NG!

'Numero Guida' = 'Apertura del Diaframma' x 'Distanza del soggetto (in m)'

Ecco qua!

NOTA BENE: questa formula è valida solamente ad ISO 100: infatti, ad ogni raddoppio della ISO bisogna moltiplicare il NG per 1,4 (cioè circa la radice di 2, approssimando) mentre ad ogni dimezzamento si moltiplica per 0,7. Inoltre, il valore è calcolato su di un obiettivo 50mm, ovviamente con la massima potenza che il flash può emettere (ad essere precisi, il flash emette luce sempre con la stessa intensità, ma varia la durata del lampo).
Un numero guida 43 quindi (esempio a caso (il mio flash): Canon SpeedLite 430 ExII) con ISO 200 corrisponde ad un NG=60, ad ISO 400 un NG=84 ed ad un ISO 50 un NG=30 (ma il problema non si pone, perché la mia Canon non arriva ad ISO 50).



La formula sopra riportata comunque è utile anche per calcolare (approssimando) la giusta apertura del diaframma da impostare per illuminare un soggetto, conoscendo però la distanza da voi. Infatti voi, essendo tutti bravi in matematica, avrete già intuito che basta invertire la formula in funzione del diaframma et voilà, avrete ciò che vi interessa:

'Apertura del Diaframma' = 'Numero Guida' / 'Distanza del soggetto (in m)'


Sempre prendendo ad esempio il mio flash, per illuminare un soggetto posto a 3 m dovrei quindi impostare un diaframma di f/14,3333..., che posso approssimare ad f/14, e quindi illumino a poco più di 3 metri con ISO 100! Cambiando l'ISO, posso quindi illuminare più lontano (grazie, non ci voleva molto...).


Un elemento che concorre in maniera determinante all'illuminazione del flash è la cosiddetta “parabola motorizzata”: consiste infatti nella regolazione dell'elemento riflettente dietro il lampeggiatore, e permette di concentrare o diffondere il fascio riflesso. Sinteticamente, varia l'angolo d'impatto della luce del nostro flash. Essa in pratica è espressa in mm, proprio come la lunghezza focale degli obiettivi, e per avere una illuminazione uniforme dell'immagine deve essere uguale allo zoom del nostro obiettivo in quel momento, altrimenti permette di illuminare parti specifiche della scena, zoomando maggiormente dell'obiettivo ed orientandolo dove ci interessa oppure ancora rendere il tutto più morbido con una focale inferiore. Questo modifica l'intensità del flash sulla scena ovviamente....
Infatti la lunghezza della parabola motorizzata incide direttamente sul numero guida, modificandolo, e questo rapporto varia di flash in flash, che ci viene fornito ogni volta dal produttore. Di solito i flash hanno una lunghezza 24-105mm, che può essere spinta su grandangoli maggiori grazie ai diffusori, integrati (18mm) ed esterni (14mm o sotto).



Tutto quanto detto sopra è da intendersi in modalità manuale: infatti, oggi (anzi da molto tempo) esistono meccanismi di misura della corretta esposizione che il flash deve ottenere con un lampo. Questi meccanismi cadono sotto il nome TTL (Through The Lenses) e furono sviluppati per la prima volta da Olympus nel 1979 con la Om-2, quindi in pieno periodo analogico: il tutto consisteva nel misurare la luce riflessa dalla pellicola, quindi l'esposizione che essa riceveva senza flash, e permetteva alla macchina di comunicare al flash l'intensità (con i parametri scelti) di luce da emettere.
Oggi non esiste più (o quasi, infatti vi è un solo produttore al mondo, Fujifilm, dopo il recente fallimento di Kodak) la pellicola, e di conseguenza il vecchio sistema TTL non poteva funzionare più come prima, ma si è anzi evoluto in forme digitali che permettono di raccogliere molte più informazioni di prima ed essere generalmente più affidabile; ogni marca ha il suo sistema TTL proprietario (ad esempio Canon attualmente utilizza il sistema E-TTL II), ma il sistema di funzionamento è più o meno questo: il flash manda dei prelampi a tendine dell'otturatore chiuse, che hanno una colorazione grigio neutra; queste riflettono la luce ed un apposito sensore misura e calcola tutto quanto. La misura dell'esposizione per il flash nella fotografia digitale non avviene più sul sensore, perché il sensore (generalmente CMOS) riflette molto di più la luce della pellicola, e con cromatismi di vario grado; questo causava incertezza e difficoltà, e quindi si è trovata la via più semplice del riflesso sulla tendina.


Sappiate che però anche i flash hanno dei limiti, riguardo al tempo di esposizione, che è dato dal tempo di Synchro-Flash! Sotto certi tempi infatti, si hanno grossi problemi: provate ad esempio a scattare al buio una foto a 1/500s con una macchina che ha un tempo synchro di 1/250s (se potete farlo: ad esempio, la mia macchina fotografica non ti dà questa opportunità, si blocca. Immaginiamo che potreste farlo!). Il risultato sarà che una parte dell'immagine sarà NERA come la pece, ma il perché è dovuto al funzionamento delle tendine dell'otturatore. Sotto certi tempi, infatti, l'immagine viene impressionata “a pezzi”, e non tutta insieme, grazie ad un gioco di scorrimento tra le tendine. La seconda tendina inizia a chiudersi quando la prima non si è ancora completamente aperta, mentre il flash parte solamente quando la prima tendina è arrivata a fine corsa. La seconda tendina quindi copre una parte dell'immagine, che rimarrà impressionata senza flash (potete approfondire tutto nel post sugli otturatori).


A tal proposito, per il funzionamento delle tendine, rimando al seguente sito dove è presente un'animazione interattiva estremamente buona: http://regex.info/blog/2008-09-04/925

Come si può fare per tempi di esposizione più bassi? Alle volte siamo obbligati ad usarli, perché stiamo fotografando soggetti in movimento ad esempio: ecco che entra in gioco un "trucchetto" per andare oltre i limiti fisici della nostra macchina fotografica! (il tempo di synchro flash è una caratteristica della macchina, NON del flash!). Entra in gioco infatti il meccanismo dell'Hi-Speed Flash, che come dice il nome è una sorta di flash ad alta velocità.

In pratica, cosa succede? La macchina fotografica in pratica come già spiegato, fa partire la seconda tendina prima che si sia chiusa la prima, impressionando quindi l'immagine a "bande" (vedi l'articolo sugli otturatori); il nostro flash (in questo caso rigorosamente esterno e dotato di questa caratteristica, l'hi-speed flash!) allora, per adeguarsi, e per impressionare ogni banda via via impressionata, emette per il tempo di esposizione una raffica di lampi stroboscopici, che impressionano in continuazione varie parti del sensore. Il tutto è riassumibile dal seguente schema:




A proposito di sincronizzazione... avete notato che negli studi fotografici è raro che ci sia un solo flash? Sono più flash! E scattano tutti in contemporanea! Ora, ovviamente dovrete avere più di un flash, ma sappiate che è possibile sincronizzare più flash tramite collegamenti appositi cablati od addirittura con collegamento ad infrarossi: in questo caso si ottiene un sistema d'illuminazione gerarchico, dove c'è un “master” (flash principale, che coordina e sincronizza) e uno o più “slave”, che “ubbidiscono” al master. Questo sistema è un sistema prettamente da studio fotografico, prendetelo più come un fatto da cultura generale.


Si parlava anche di tendine però. I flash, infatti, sono belli, costano un botto, lampeggiano e tutto, ma quand'è che parte il lampo??
Ci sono due momenti in cui il lampo può partire, che vanno bene per qualunque tempo di exp. superiore al synchro-flash, e sono quando si è aperta tutta la prima tendina e quando si sta per chiudere la seconda tendina.
Con grande fantasia, la scelta nei vari menù e manuali è definita come “Flash sulla prima tendina” e “Flash sulla seconda tendina”.


Di default è sempre impostato il flash sulla prima tendina, perché è il momento più vicino alla pressione del pulsante di scatto e permette di cogliere meglio l'attimo in cui si vuole scattare; tuttavia, per certe tecniche di fotografia (leggasi PANNING) che cercano invece un effetto di movimento, di scia, è opportuno (indispensabile) mettere il flash sulla seconda tendina (utilizzando tempi “lunghi). Se si utilizzasse infatti la prima tendina, si avrebbe un'immagine statica, congelata, con delle scie “insensate”, quasi quelle tipiche del mosso.


Un tipo di lampo però manuale esiste, e parte solamente quando lo diciamo noi: si tratta del lampo pilota, che avviene quando pigiamo il tasto PILOT del nostro flash. Questa opzione si rivela fondamentale per tecniche di sovrapposizione in uno stesso scatto, oppure per provare i settaggi manuali o sparafleshare gli occhi di un vostro amico/a....

Parliamo velocemente per concludere anche di effetto occhi rossi: dai, tutti abbiamo una foto dove sembriamo indemoniati! Solo io? Merd..!
Comunque, l'effetto occhi rossi viene sicuramente da un fatto biologico umano, anche se vi sono due spiegazioni che non si escludono a vicenda: la prima è che la pupilla, quando scatta il flash, essendo troppo veloce il lampo non riesce a chiudersi in tempo, cosicché la luce entra nella pupilla, colpisce la retina (altamente vascolarizzata e quindi rossa), esce dalla pupilla, e ci fa diventare gli occhi momentaneamente rossi. Una seconda spiegazione è dovuta ad una proteina contenuta nell'iride, che filtra la luce del flash lasciando uscire solamente la caratteristica luce rossa. Queste due ipotesi possono anche spiegare perché gli animali hanno alle volte colorazioni degli occhi diverse dal rosso!
Ma niente paura, non avete il demonio dentro: basta infatti far partire qualche prelampo prima di quello effettivo, dando tempo alla pupilla di chiudersi in tempo. E sennò, usate photoshop de!



Ora però... Dopo tutto st'ambaradan, ancora non si sa come funziona un cavolo di flash! Com'è che parte il lampo???
Certo, non è che serva a molto in termini pratici, ma mi sembra interessante metterlo per completare questa prima parte sul funzionamento del flash, mentre nelle prossime due parti (che spero di fare, tempo permettendo) vorrei scrivere a riguardo della storia del flash (quindi uno sarà corto ed inutile, pure curiosità fotografiche) e delle tecniche più comuni che includono il flash... (panning, fill-in, multiesposizione... ) Quindi, quanto segue non serve prettamente a capire come utilizzare il flash, e potreste anche fermarvi qua se non siete curiosi!
Vabbé, insomma, il funzionamento attuale dei flash è questo: si basa su un dispositivo tipico dei circuiti elettrici, il condensatore (sì, se avete studiato fisica è proprio quello). Le estremità del condensatore però sono “lontane” (cioè sono ben distinte, mentre nei condensatori elettrici la distanza è quasi nulla) separate da un tubo contente gas nobili quali lo Xenon (tubo Geissler). In pratica, questo tubo è collegato alle piastre del condensatore che fanno da elettrodi, e quando viene chiuso il circuito, si genera una tensione tra gli elettrodi, facendo sì che il gas venga “stimolato” e diventi conduttore, emettendo di conseguenza luce (gli elettroni, facendo i famosi “salti orbitali” che si incontrano quando si studia chimica, emettono radiazione elettromagnetica, che nello spettro del visibile diventa la comune “luce”). Variando la durata nel tempo della tensione (fissa) ai capi del tubo Geissler, si ottiene un lampo più o meno lungo (e quindi un'esposizione maggiore o minore).



....

Ecco!

Per la gioia vostra, ho finito!

Spero di non avervi annoiato troppo con questo articolo particolarmente lungo, ma il funzionamento del flash è una cosa unica, e spezzarlo in più parti non mi sembrava opportuno... Spero che vi sia anche utile, prima o poi! :)

lunedì 16 aprile 2012

Project Glass e la realtà aumentata (da Google): bamboccioni o Robocop?

Annunciata negli anni '40, realizzata nel 1968, implementata negli anni '80, sviluppata negli anni '90 e perfezionata negli anni 2000, sta arrivando anche al pubblico consumer/business: ma cos'è la realtà aumentata?
Nient'altro che una realtà con informazioni aggiuntive a quelle date dai 5 sensi, come ad esempio “Quando è stato costruito questo edificio?” oppure “Come arrivo là?” e così via. Sono tutte informazioni che magari sappiamo se stiamo parlando della nostra città, ma in una straniera?

Un esempio di realtà aumentata su computer


Nei lab. Google [x] però si sta sviluppando qualcosa di più, un occhiale per la realtà aumentata, basato su Android, che potrebbe anche sostituire gli smartphone in un prossimo futuro. Il suo impatto nella vita quotidiana però sarebbe molto più grande di uno smartphone, in quanto distorcerebbe sicuramente la nostra percezione della realtà, potendo vivere un esperienza totalizzante per tutta la giornata. Ecco un video di una giornata tipo con indosso i Project Glass (gli occhiali in questione):


Compaiono notifiche mentre si fa colazione, si registrano filmati romantici e trasmessi in diretta con tanto di reazione dell'interessata, addirittura si chiede dove è la sezione musica all'interno di una libreria! Connessi tutto il tempo, aiutati tutto il tempo dalla Rete. Ci renderà schiavi della tecnologia e inabili quando a questi occhiali si scarica la batteria, o invece avremo il doppio degli impulsi e dimezzeremo i tempi morti? Personalmente credo più la prima (pessimismo docet), ma nessuno lo sa veramente.

Comunque, lo sapremo a breve: infatti il loro arrivo sul mercato è previsto verso la fine dell'anno! Quindi, tecnofili agguerriti, nerd incalliti e geek irrecuperabili risparmiate un po' di soldi, riparate qualche computer di qualche amico (a pagamento), e potrete soddisfare questa curiosità (una volta schiavi però è difficile tornare indietro...)

P.S.: se siete VERAMENTE impazienti, potreste sempre comprare gli occhiali della Epson!
http://malditech.corriere.it/2012/04/16/google-project-glass-domani-per-ora-i-visori-come-epson-moverio-la-prova/


Per approfondire:

http://it.wikipedia.org/wiki/Realt%C3%A0_aumentata
http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_aprile_05/occhiali-google-dipasqua_c7a3349c-7f1b-11e1-a959-e67ffe640cb1.shtml