domenica 7 novembre 2010

Nozioni Base di Fotografia - Quale macchina per noi?

Nelle precedenti puntate:

Quale macchina scegliere?

Allora, buondì! Disse quello che vendeva merendine.

Oggi, svegliatomi di buon grado, decido di iniziare un mini-progetto che non so se finirò mai! E cioè, fare un post dove (con l'aiuto di altri siti, wikipedia su tutti) cercherò di spiegare i meccanismi base della fotografia e come scegliere la macchina fotografica, nei limiti delle mie capacità. Questo perchè sono un po' appassionato alla fotografia, e reputo che la base per chiunque voglia avvicinarsi a questo mondo sia conoscere che diavolo stiamo facendo con questa o quella macchinetta nelle nostre mani.

QUALE MACCHINA FOTOGRAFICA SCEGLIERE?

La domanda che attanaglia qualunque neofito che non abbia i soldi che escono da parti strane è: quale macchina scegliere? E poi: digitale o analogica? La scelta del mercato sta volgendo rapidamente (se non totalmente) al digitale, soprattutto per comodità e costi.
Comodità: le compatte spopolano, te le puoi mettere in tasca, e oggi come oggi è molto più facile trovare una digitale da comprare, ed i rullini pure non sono sempre dietro l'angolo. Inoltre, la funzionalità Live View permette di vedere come verrà una foto, e possiamo comunque provare e riprovare a scattare la stessa foto senza tanti pensieri. Per non parlare di tutte le potenzialità legate al fotoritocco o ad un semplice aggiustamento dell'esposizione... in una parola, Photoshop! (per utilizzare Photoshop sulle foto analogiche dovremmo avere uno scanner apposito dei negativi... ma non è proprio il massimo della comodità!)
Costi: con una digitale fai 500 foto a costo 0 (quello di una scheda di memoria, che è riutilizzabile) mentre con un'analogica sono 36 a rullino, e i rullini... Costano! Tuttavia, avere una reflex a rullino e svilupparsi le foto da soli con gli acidi, bacinelle e luci rosse, ha un suo fascino... anziché mandare un mero ordine di stampa da qualche parte nel mondo. Inoltre, i colori hanno sicuramente una resa migliore se non si usano digitali di qualità, e anche qui il dibattito è ancora aperto (il mito che i fotografi veri usano solo macchine analogiche è completamente da sfatare: tanti fotografi professionisti usano ancora macchine analogiche perchè le usavano 20 e più anni fa, quindi hanno una conoscenza estremamente profonda della loro attrezzatura e non vedono un valido motivo per cambiare tutto, sia per un discorso di costi che di riadattamento delle proprie conoscenze. Poi, appunto: l'analogico ha un fascino maggiore!)

Concludendo: oggi è generalmente più conveniente prendere una macchina digitale, scegliere un'analogica può avere senso solo in relazione a particolari situazioni, come un corredo fotografico ereditato (peraltro riutilizzabile con le digitali, mediante appositi adattatori) o questioni affettive, perché la questione riguardante la qualità è oggetto di discussione solo ad alti livelli (e si spera a quel punto che una persona non venga nel mio blog a informarsi su che cosa scegliere, ma sappia già il fatto suo, dato che è principalmente una questione di gusto per la resa finale).


Tipi di Macchine Fotografiche (esistono sia in versione digitale che analogica):

Usa e Getta (solo analogica)
Compatta
Polaroid
Bridge
Micro-Quattro Terzi
Reflex



Usa e Getta: da usare solo nei casi d'emergenza, quando si è in vacanza. Non si ha nessun'altra macchina fotografica e vogliamo un ricordo del posto.

Compatta: è il modello che attualmente sta spopolando sempre più. Comodo, portatile, di buona qualità. Ultimamente ne stanno tirando fuori di tutti i colori. Io ad una persona che non ha particolari esigenze fotografiche, cioè si accontenta di fotografare quel che vede ad occhio nudo, consiglio una compatta. Qualità, prezzo e portabilità tutti insieme.

Polaroid: per questo tipo di macchina vale un discorso a parte. È costosa sia nell'acquisto che nel mantenimento (carta, inchiostri), però ha un fascino incredibile: volete mettere che scattate una foto e l'avete già stampata pochi secondi dopo? Da prendere solo se amate il genere.

Bridge: a prima vista, un novizio la potrebbe scambiare per una reflex. In effetti, ha molte cose in comune, se non fosse per il fatto che non ha ottiche intercambiabili. È la scelta giusta per chi pretende qualcosa di più di una compatta, sia come qualità che ergonomia e soprattutto potenza nella scelta dei dettagli tecnici, ma sa che non avrà mai bisogno di particolari ottiche. L'obiettivo che c'è è quello che rimarrà per tutto il life-cycle della macchina. Se vi va bene, la bridge fa per voi.

Micro Quattro-Terzi: un modello riproposto da qualche anno in versione digitale dall'Olympus per i 50 anni del modello Pen, che ha trascinato anche altri produttori quali Panasonic e Samsung. Sono caratterizzate per essere una via di mezzo tra reflex e compatta: unisce la potenza di una reflex (e i sensori di una reflex) e le ottiche intercambiabili con la portabilità di una compatta. Differenza principale? Le micro quattro-terzi non hanno lo specchio. Quindi scordatevi il mirino (se non elettronico) e il classico rumore di quando scatta una reflex. Valida scelta, ma la qualità di una reflex è ancora superiore, anche per un discorso di esposizione del sensore: nella micro quattro-terzi il sensore è sempre esposto alla luce, e quindi soffrirà di più gli effetti di rumore luminoso, ma comunque rimane una scelta di ottima qualità. Leggermente inferiore alla bridge come qualità, ha dalla sua un design retrò inconfondibile e appunto la buona portabilità con ottiche intercambiabili.

Reflex: il paradiso fotografico. In base al budget, avrete uno strumento più o meno potente, più o meno buono, ma sempre superiore a tutti i tipi precedenti (generalmente). Si ha il pieno controllo della foto e la migliore qualità, migliorabile inoltre grazie ad ottiche via via sempre più raffinate. Consiglio di scegliere marche blasonate per questa tipologia, come Canon e Nikon, più che per un discorso di qualità esclusivamente per un discorso di parco ottiche più ampio. Anche Sony comunque sta iniziando ad avere un discreto parco ottiche, dopo l'acquisizione di Konica-Minolta. Oppure, se ereditate da qualcuno una collezione di obiettivi, scegliete la marca per cui sono fatti quegli obiettivi, che esistono degli adattatori appositi per ottiche analogiche al digitale. Unica nota di demerito: oggi, tutti si comprano una reflex. Perché? Perché è meglio. Non fate un discorso del genere: comprate una reflex solo se sapete che ne avrete bisogno, altrimenti risparmiate soldi puntando su qualcos'altro.

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Questo insieme di nozioni, conoscenze etc. etc. è Under Construction, e comunque non avrà mai una pretesa di essere il Sancta Sanctorum della fotografia, ma un utile post dove è possibile informarsi in maniera veloce e pratica. Vi consiglio anche questi siti:

Corso Foto

Polaroid

martedì 2 novembre 2010

Appunti di Andrea

Buondì. Siccome mi sono svegliato bene, ho detto: perchè non mettere a disposizione di tutti i miei appunti? Credo possano essere utili, piano piano ne aggiungerò un po'. Per oggi, un giorno prima del mio compleanno, vi regalo gli appunti di Termodinamica per Fisica Generale!


Termodinamica (appunti per Fisica Generale)

Meccanica e Momento Lineare (appunti per Fisica Generale)

Tesina su Chiesa di San Michele in Borgo

domenica 19 settembre 2010

Lo stereotipo dello stereotipo.

Stereotipo: "Lo stereotipo (o cliché) è, nell'uso moderno, la visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo riconoscibile di persone accomunate da certe caratteristiche o qualità."

By Wikipedia

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Certo, non è una definizione presa da un Devoto Oli o uno Zingarelli, però calza abbastanza bene come definizione. È, come dice appunto Wikipedia, una semplificazione, per identificare un qualcosa, qualcuno, nella società di oggi, troppo complessa per essere analizzata, troppo vasta per essere esplorata. Tuttavia, mi sembra che oggi se ne abusi un po' troppo: è il rifugio di chi non ha voglia di pensare, e si è stancato di fare troppi zig-zag nelle differenze culturali, e quindi etichetta ogni cosa in un macrogruppo con caratteristiche salienti che possiamo ritrovare in un sottogruppo.

Ma.
C'è un Ma.

Oggi c'è una nuova figura nel panorama sociologico: lo stereotipo dello stereotipo.

Chi è lo stereotipo dello stereotipo? È una figura, sempre più diffusa, che stereotipizza qualunque cosa, sia che rientri nelle sue idee o meno, senza mai approfondire nulla. Esso è apparenza, mascherata da una velata conoscenza della realtà in ogni suo ambito. Perchè oggi dire "non ho un'idea precisa" su qualunque argomento, è sintomo di ignoranza e menefreghismo. Quindi, devi avere un'idea: quale miglior cosa dello sfruttare idee comuni e consolidate, apparenti e diffuse? Ecco quindi la nascita dello stereotipo dello stereotipo: applicando questo concetto ad ogni aspetto della società circostante, si giunge ad un livello culturale bassissimo, che non approfondisce nulla ma sa ugualmente tutto. Moltiplicate questo effetto per la massa delle persone che lo sfrutta, ed avrete una frangia di persone unita, potente, ignorante e menefreghista. In pratica, il trionfo dell'apparenza.

È paradossale, che per non ammettere l'ignoranza, si giunga ad un'ignoranza maggiore: sì, perchè l'ignoranza velata e nascosta sottopelle fa sicuramente meno effetto di un'ignoranza manifesta. Ma è più pericolosa, subdola, e difficile da togliere: da qui, l'impoverimento culturale generale.

In fondo, basterebbe essere più umili, ammettere le proprie mancanze e saper ascoltare chi ce le può colmare. Ma sarebbe un'ammissione troppo grande, per troppe persone.

giovedì 26 agosto 2010

Aforismi dal bosco.

Piccola raccolta di aforismi, scritti da me o da altri (firmati).



La trasgressione non è solo il soddisfacimento di un proprio piacere personale, ma soprattutto la sovrastazione dell'ego sulle regole della società.

L'amore eterno dura 3 mesi. [Woody Allen]

Ammettere di sbagliare con dignità è una cosa in cui riescono in pochi.

Non rimettersi mai al giudizio degli altri è la maniera più semplice di tutelare le proprie azioni.

Il vero amico ti giudicherà sempre.

Il parlar male degli altri è la povertà dello spirito.

L'essere intelligenti consiste nel riuscire non solo a trovare il bello in tutte le cose, ma riuscire ad apprezzarlo e capirlo, e scegliere fra tutte le cose "belle" solo quelle che ci piacciono.

Nessuno è più idiota di un idiota convinto di non essere idiota.

Se sai che sta per accadere qualcosa di brutto, sarà sempre più brutto di quel che pensi.

Il problema non è far ridere una donna, ma PERCHÉ la fai ridere.

L'architetto è un pittore senza pennello.

Il miglior amico dell'uomo è un buon libro.

Le cose belle finiscono, sennò non sarebbero tali.

Il pessimista è solo un ottimista ben informato. [Oscar Wilde]

Anche il più orrendo fetore, il lezzo peggiore, l'afrore più nero e mortale, si sa che nel giro di ore si riesce a scordare, si arriva persino a pensare, che forse è sembrato, l'odore è passato, se mai qualche odore c'è stato, ma intanto l'olezzo ti intride, pian piano ti uccide, e chi l'ha prodotto sorride. [Daniele Silvestri]

Le opinioni sono come le palle: ognuno ha le sua. [Clint Eastwood]

La puntualità è la virtù di chi si annoia.[A.Breton]

Happiness only real when shared. [Christopher McCandless "Alexander Supertramp"]

Bigamia significa avere una moglie di troppo. Monogamia anche. [Oscar Wilde]

Io amo l'umanità. È la gente che odio! [Linus Van Pelt - Charles M. Schulz]

Siamo come patatine fritte, nel grande arrosto della vita! [Rat-Man - Leonardo Ortolani]

La violenza per la maggior parte è solo una guerra tra poveri ad alto impatto mediatico.

L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso... L'amore non è mai presuntuoso o pieno di se, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta. [Dal film "I Passi dell'Amore - Jamie, dal diario della madre]


Viviamo in un'epoca dove le cose superflue sono le nostre uniche necessità. [Oscar Wilde]

La musica è tra le migliori compagnie che si possano avere: dice cosa vogliamo noi, quando lo vogliamo noi, come lo vogliamo noi, ma è indipendente da noi.

La lunghezza di un libro e la profondità dello stesso sono (nella maggior parte dei casi) inversamente proporzionali.

Diffida sempre da chi al bar prende sempre e solo una tazzina di caffé.

venerdì 23 luglio 2010

22 luglio.

Ecco, ci risiamo. 22 luglio. Una data innocua, per i più. NON PER ME.

Esattamente due anni fa, accadeva l'avventura a Barcellona, sì quella in stile survivor, quella che ho raccontato proprio qua su questo blog. Ecco, oggi pensavo che era il suo secondo anniversario! Che bello!

Ma.

C'è sempre un ma.

Ma al destino crudele e bastardo, al dio nullafacente e infingardo, al caso meschino e bugiardo, tutto questo ancora non bastava.

C'era una volta un corso del secondo anno di edile-architettura. Era un corso composto di persone allegre, vivaci, ragazze biondemorerossecastanenerescure, e chi più ne ha più ne metta. Ignari del pericolo che li aspettava, come uno specializzando che si trova nelle vicinanze di Jack, il paziente dall'alzhaimer galoppante (Scrubs docet), questo povero grumo di persone si accingeva nel lontano martedì 6 ottobre del 2009 ad affrontare le prime 7 ore dell'esame che avrebbe loro rovinato la vita sociale dell'anno corrente: composizione architettonica, I. Ora, già il professore si chiama Boschi, io mi chiamo Albero, facciamo un po' i nostri conti...

Comunque, allegri e spensierati (?) concludiamo trascinandoci dietro ore ed ore di lavoro e ancora più ore di sonno arretrato l'anno accademico. Bene! Si dà l'esame!

NO.

E invece NO.

Perchè, dopo che hai studiato almeno 8 ore al giorno per un bel po' di tempo, dopo che ti alleni e tutto, è normale prendersi una piccola pausa. Per rilassarsi. Che fai? Come ho detto prima (ehh mica le dico così per fare le cose io!), Scrubs docet. Quindi guardo scrubs. Con un bel bicchiere di latte zuccherato pronto da bere.

Guardi scrubs sul letto. Bicchiere di latte con CUCCHIAIO. Sei rilassato. Ti giri un secondo per cambiare posizione. Sei stanco, mezzo addormentato, volevi uscire con i tuoi amici: hai la testa chissà dove. Il cucchiaio si muove, ma tu non lo vedi. Sei insettofobico, e qualche volta hai visto qualche animale strano in casa, che hai prontamente schiacciato, ma non te lo aspetti nel bicchiere di latte. Scambi il cucchiaio che si muove per un animale. Reazione istintiva: movimento veloce del braccio. Il bicchiere di latte è pieno: straripa. Dove? Ma sul computer! Ovvio! Murphy docet, pure lui!

Problema: latte = liquido -> danno al computer. Quindi: giri immediatamente il computer dopo una breve asciugatina. Secondo pensiero: liquido -> evapora -> phon. Phon! Prendi il phon per asciugare il computer. Tragicomico.

Passi il phon sulla tastiera. Velocemente. Non ti soffermi su nemmeno un tasto. Contento e felice, lo sollevi. Orrore: dei tasti di plastica, per via del calore si sono deformati e non funzionano più!!! Ben 3 tasti del cavolo diventano inutilizzabili! Mannaggia! Allora li stacco, cercando di ripararli, rimodellarli col calore... niente. Ma niente da fare. Allora? Non posso mica lasciare tutto così!

Ma come ho fatto a scrivere questo post? Semplice! Siccome sono inggggegnere, allora ho pensato subito a una repentina soluzione: devo trovare qualcosa da appiccicare sulla gommina rimbalzante del tasto per aumentarne la base di pressione, adatta ai miei polpastrelli e camuffabile. Pensa, pensa, pensa... dove cavolo lo trovo un quadrato (anzi 3 quadrati) 1.8x1.8 cm, a mezzanotte, in casa? Non lo trovo! ... cartonlegno.

Cartonlegno. Mi fabbricherò i tasti col cartonlegno e poi lo riporterò in assistenza una volta dato disegno 2! Perfetto... fortuna, l'intelligenza non dipende dalla sfiga, e quindi l'idea funzionò... e funziona tutt'ora, ad articolo finito. Alcuni tasti vecchi, sono un po' più duri per via dello zucchero, ma ho fiducia che tutto si risistemerà.

Conclusione? Sono insettofobico paranoico, ho un computer con 3 tasti di cartonlegno dipinto (eh sì perchè l'ho dipinti di nero proprio come gli altri tasti) e altri 3 induriti tantissimo, e non ho ancora finito Scrubs. Che ne dite, secondo voi, c'è una qualche relazione particolare che tutto questo mi sia accaduto il 22 luglio??? Ai posteri l'ardua sentenza. (e ai poster... ai poster... boh, i poster si attaccano al muro e via).

martedì 6 luglio 2010

Elleapostrofo.

Siamo uomini. Nella storia, è sempre venuto fuori qualcuno a dirci che siamo soli, siamo in compagnia, o che qualcuno ci vuole bene lassù. Ma prima di tutto siamo uomini, inteso come specie.
E vaghiamo così, uomini perduti su questa cosa non sommersa dal mare che chiamiamo Terra. Perché? Ce lo siamo chiesto tutti prima o poi. Che vogliamo fare? Perché lo facciamo?
In realtà siamo solo egoisti. Vaghiamo per noi stessi, per il nostro puro desiderio di vita, inscritto nelle fila del nostro istinto, che si è formato da qualche milione di anni a questa parte, da qualche misera cellula a uomo completo. Egoismo… sano, puro e giusto egoismo. Nessuno dice il contrario. Almeno, nessuno che venga bollato come “normale”.
Il problema è che non sappiamo cos’è la vita. E allora ci poniamo degli obiettivi noi stessi, giusto per distrarci dal nostro senso di ignoranza: soldi, famiglia, piaceri, vizi, conoscenza… ma latente sotto di noi rimane quella sensazione di incompletezza. Come ha scritto Primo Levi, l’uomo non è mai contento: vede sempre la sua vita come una successione di problemi, e quando ne togliamo uno, ne vediamo un altro che era nascosto proprio dietro di lui. E non siamo mai contenti. Siamo solo dei grandi problem solvers noi. O meglio, ci siamo ammaestrati da soli ad esserlo.
C’è chi è più furbo e dice: voglio raggiungere la felicità. Si crede molto furbo, ma non lo è, perché la sua sarà solo una felicità fittizia, che si auto-impone: per molto tempo può andare bene, ma poi arriva alla resa dei conti e ti accorgi del tuo teatrino costruito su misura, di quello che hai ignorato per far tornare tutto nell’equazione della felicità. Sì, perché la vera felicità è bastarda: arriva da sola, quando le pare, come le pare. Il massimo che uno può dire è che vive per quei momenti, ed è giusto e furbo per davvero questa volta, perché la vera felicità ti travolge e ti fa sentire in risonanza con tutto l’esistente del mondo.
Sono riuscito a scrivere finora senza nominare la parola più spaventosa dell’intero vocabolario italiano: l’amore. Sì, perché l’amore, quello con “elleapostrofoamore” tutto scritto maiuscolo, fa paura. Perché è lui la vita, è lui che non riusciamo a trovare, e ci costruiamo delle distrazioni tutto intorno a noi quasi per dimenticarcene. L’amore è ciò che ci manca, e tutto il resto sta piano piano prendendo il sopravvento: non ce ne accorgiamo, ma il processo è lento ed inesorabile, e come la pappina preconfezionata del neonato va bene a tutti, fino poi ad arrivare ad affermare che “non è poi così male”. C’è chi si innamora delle proprie distrazioni poi: chi del proprio lavoro, chi della propria compagna un po’ bruttina ma sempre gentile o di quella bella e stronza, o di quella bella e sempre gentile ma sbagliata, chi dei soldi, chi di sé stesso. Non è un grande male: alla fine, qualcosa così si guadagna sempre. Un po’ di felicità, un po’ di serenità, sebbene sia dettata dall’abitudine e non dalla passione vibrante scritta dentro di noi e coperta da una pesante coltre, che non riusciamo a togliere da soli. Questa passione ce l’abbiamo tutti diversa: ma quando trovi chi o cosa riesce a toglierti questa coltre, allora hai trovato davvero l’amore. L’amore è qualcosa che riesce a levarti questo peso dal cuore, troppo grande per te, con la stessa leggerezza che si ha nel soffiare una piuma verso l’alto. L’amore è qualcosa cui ti puoi abbandonare a braccia aperte, perché sai che anche dall’altra parte sta succedendo la stessa cosa. E non te ne frega più di niente, tutto il resto è in secondo piano, grigino e spento al suo confronto. Non ha bisogno di parole, di gesti eclatanti, di nulla: è lui che comanda e fa tutto, è il terzo incomodo tra due soggetti innamorati. Con l’amore, due persone non hanno bisogno di fare nulla. Basterebbe lasciarli da soli in un luogo bianco, senza pareti, rumori, completamente vuoto, per vederli sorridere l’un l’altro mentre si guardano negli occhi, felici come non mai. Perché hai la vita, le distrazioni le puoi lasciare agli altri. Hai l’amore.

martedì 15 giugno 2010

Infelice

Ci vuole coraggio, e la faccia come il culo, oggi come oggi, per dire di sentirsi infelici.

domenica 4 aprile 2010

Tarte Tatin (la Torta delle Sorelle Tatin)

Allora... premetto che questa è la prima ricetta che scrivo, quindi non siate troppo cattivi! :p I parigini comunque sanno quanto sia buona e deliziosa questa fantastica torta francese! :D Stranamente mi riesce molto bene! O.O

Ecco qua allora:

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STORIA:

La Tarte tatin è un classico dolce della tradizione francese nato all'inizio del secolo grazie all'inventiva delle sorelle Carolina e Stephanie Tatin albergatrici a Loret-Cher, in Francia.
In realtà sembra che, come di solito accade, questa buonissima torta sia nata a causa (sarebbe meglio dire per merito) di uno sbaglio.
Le due sorelle Tatin, avevano nell'albergo due ruoli diversi, mentre la giovane Carolina si occupava di accogliere i clienti, Stephanie, cuoca provetta, si occupava della cucina: in particolar modo era apprezzata la sua buonissima torta di mele.
La leggenda narra che, un giorno in cui l'albergo era pieno di cacciatori che aspettavano di poter pranzare, Stephanie si accorse di non aver preparato la sua torta di mele; senza farsi prendere dal panico corse in cucina, imburrò e cosparse di zucchero una tortiera, ci mise dentro le mele e la infornò. Solo dopo si rese conto di non aver foderato la tortiera con la pasta brisè! Ancora una volta Stephanie prese in pugno la situazione, ricoprì la tortiera con un solo strato di pasta e rimise tutto in forno. La storia finisce, naturalmente, con il lieto fine: infatti terminata la cottura, Stephanie rovesciò la torta su un piatto e la portò in sala dove fu letteralmente divorata. Era nata così la tarte tatin.
Successivamente, visto il discreto successo riscosso, la tarte tatin fu adottata dal celebre ristorante parigino Maxim's che ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia.
Oggigiorno è uno dei dolci più amati in Francia ed è immancabile nelle Brasseries e nei ristoranti, dai più modesti ai più lussuosi.

COMPOSIZIONE: base di pastafrolla + mele cotte

TEMPO DI PREPARAZIONE: 1 ora e mezzo (2 ore al max)

STRUMENTI NECESSARI:

Tortiera in alluminio, diametro circa 30 cm

INGREDIENTI :

Mele cotte:
4 mele Golden (o Renette)
90 g burro
80 g zucchero

Pastafrolla:
115 g burro
50 g zucchero
1 uovo
200 g farina
1/4 di cucchiaino di sale

PREPARAZIONE:

1) MELE: Mettere 90 g di burro e 80 di zucchero nella tortiera, a sciogliere a fuoco basso. Successivamente prendete le mele, togliete il torsolo e la buccia, poi tagliatele in otto parti ciascuna. Una volta fatto, metterle nella tortiera a cuocere con il burro e lo zucchero a fuoco medio/mediobasso, girandole ogni tanto per ottenere una cottura più uniforme per 45 minuti circa, finchè non si ha un colore un po' più marroncino.

2) PASTAFROLLA: la scrivo per chi non la sapesse fare, comunque se non la avete già pronta si può preparare anche subito dopo le mele, dato che vi è il tempo necessario. Mettete la farina in un recipiente sufficientemente grande per la lavorazione, insieme con lo zucchero e il sale. Fate un'incavo nel centro, e mettetete su tutta la superficie piccoli pezzettini di burro morbido. Aggiungete l'uovo, e iniziate a lavorare il tutto con la punta delle dita prima, poi quando raggiunge una consistenza più compatta anche con le mani. Quando è perfettamente omogenea, fate una palla con questa pasta e avvolgetela in una pellicola trasparente, dopodichè mettetela in frigo per circa mezz'ora.

3) Accendete il forno a circa 220°C, levate la tortiera dal fuoco, prendete la pastafrolla e stendete un disco un po' più grande della tortiera di circa 2-3 cm. Dopodichè stendete il disco sopra le mele cotte nel burro e zucchero, e premete la pastafrolla sul bordo, per farla andare leggermente più profonda.

4) Infornate la tortiera con mele e pastafrolla nel forno a 220°C, per 18-25 minuti circa.

5) Una volta cotta la torta, lasciatela riposare a temperatura ambiente per 2-3 minuti, dopodichè ponete un piatto sopra la tortiera e capovolgete il tutto con un colpo secco, così che la pastafrolla poggi sul piatto. Se avanza del liquido, distribuitelo sopra la torta.

6) La torta ora è pronta, ma è consigliabile servirla tiepida/calda (potete riscaldarla a bagnomaria), magari in abbinamento a un bicchierino di Calvados!



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Non mi vogliate troppo male se è scritta da cani, ma vi assicuro è una cosa assurda, è troppo buona!!!!!! Ne mangerei a chili, chili, chili... e anche a tabasco, tabasco, tabasco...

lunedì 22 marzo 2010

Telai

Dicono che la vita è un filo.
Forse è vero, forse no, forse ci è solo appesa, ma non conta niente.
I fili si aggrovigliano. La vita pure. Questo, sì, questo torna. Questo purtroppo torna. Non si vorrebbero i nodi, si vorrebbe un filo dritto e liscio dall'inizio alla fine, perfetto esempio di geometria, linea retta dello scorrere tra le dita del tempo. Ma ci sono. I nodi. E nessuno li può togliere del tutto.
Forse la vita è un'insieme di fili: uno spago per ogni cosa, ognuno accasciato su un telaio a volte troppo grande per noi che sappiamo a malapena fare l'uncinetto se ci va bene. Uno spago per il tempo che abbiamo, uno spago per ogni singola passione, uno spago per i nostri desideri, uno spago per..., e a volte capita che si intrecciano, si mischiano, anche se li conosciamo a memoria, li numeriamo, li teniamo stretti sotto il nostro occhio essi sfuggono, corrono. Si perdono.
A volte fanno dei nodi tra loro. Si accumulano. Se nascono più velocemente di quanto impieghiamo a scioglierli, beh, è lì il vero problema. Il nodo dei nodi, che non può essere districato direttamente, ma solo districando quelli minori. E ti accorgi, vedi sotto i tuoi occhi crescerli tutti questi aggrovigliamenti, li vedi aumentare a dismisura, diventare più forti, fino a che il telaio è da buttare. Ma vorresti farlo con un sorriso, e non ce la fai però. Ecco qua: un nodo alla gola. Un'altro. E' un rincorrere inutile la pace, un tremendo vortice in cui senti che finisce ogni tuo singolo filo. Ogni.
Non c'è speranza da quel punto di vista, forse l'unica certezza nel mondo. E allora ignoriamo, ignoriamo, è l'unica soluzione, fino a che poi non viene l'inverno e si ha freddo, senza i vestiti costruiti dal telaio. Io non ne ho ancora finito uno. Ne ho ammezzati tanti, di vestiti, e posso farci solo una coperta per l'inverno, ma non posso uscire di casa. Una bellissima coperta, certo, ma nemmeno un vestito. Ne basterebbe uno. Mi basterebbe che non venisse chi, cosa, qualcuno a tagliarmi le maniche quando lo sto per finire, a distruggere le cerniere quando sto per concludere. Vorrei, vorrei, vorrei. Vorrei che io potessi fare quel che voglio, senza pensare che c'è chi sta molto peggio, chi non ha una coperta, chi non ha nulla, che in fondo non ho così freddo. Non è vero. Io ho freddo. Molto freddo. E non mi accontento. Nessuno, dovrebbe farlo.

domenica 14 marzo 2010

Distanze

Due respiri, vicini,
si ascoltano.

Due animi, vicini,
si sentono.

Due persone, lontane,
si parlano.

Ma due, due cuori vibrano, ovattati e forti, timidi e puri, impauriti da sè stessi e dalla loro voglia di vivere che poi si allontanano senza fuggire, guardandosi, da lontano, lontano... Che fare?

lunedì 11 gennaio 2010

La volpe, l'uva e l'uomo.

Dai, il post precedente era un'elogio alla bellezza, non potete criticarmi se poi torno nel mio vecchio stile autodecadente, eh.

È che manca qualcosa. Anzi, mancano. Una fuori, ed una dentro. Perchè è sempre complicato? Non si sa mai dove cascare, c'è il vuoto da ambo le parti.
Dentro: dentro c'è una scintilla, una molla, una rabbia. Che scatta quando si chiede di più a sè stessi. Che fa affrontare sprezzanti di tutto l'obiettivo, nell'esaltazione dello stesso. Ma come un'accendino troppo usato che non funziona più, come una molla troppo tirata che non tira più, come l'ira cui sussegue il torpore, è sbiadita, in favore dell'accomodamento, questa cosa, questa bellissima e pesante cosa da avere dentro. E alla fine, senza rendertene conto, sei cambiato: puoi tornare come prima quando vuoi, ma sai che ti costa tanto. E l'accomodamento è lì ad attendere, pronto ad uscire fuori e farti rinunciare. Lo chiamano adattamento: bella parola per dire che tu, volpe, non arrivi all'uva; ma invece è l'uva che deve scendere, e tu, volpe, devi far piegare il ramo, o vincere la gravità, o quello che ti pare. Ma è più faticoso. Accomodamento è il termine giusto, che racchiude la componente facile e terribile dell'ignavo.
Fuori: fuori c'è una scintilla, una molla, un'amore. Che scatta quando si vuole di più di sè stessi. Che fa affrontare col sorriso la vita, nell'esaltazione della stessa. Ma come un'accendino che non fa ardere un fuoco da solo, come una molla che non fa funzionare un motore da sola, come la passione, che da sola lentamente cede al vuoto, è stata soppiantata dalla paura, questa cosa, questa bellissima e leggera cosa da avere dentro e fuori. E alla fine, senza rendertene conto, non sei mai cambiato: guardi indietro e rivedi il solito copione, e sai che anche questa volta non sarà diverso. E la paura è lì ad attendere, pronta ad uscire fuori e paralizzarti. La chiamano timidezza: bella parola per dire che tu, uomo, non vuoi farti capire dagli altri; ma invece gli altri devono capirti, e tu, uomo, sai farti capire, puoi farti capire, o quello che ti pare. Ma è più duro rompere il vetro che ti imprigiona. Paura è il termine giusto, perchè in realtà non vuoi perdere quello che hai già trovato, perchè ti accontenti.

Il dentro ed il fuori sono strettamente collegati: paradossalmente il dentro è la cosa che più agisce sul fuori, ed il fuori è la cosa che più ti agisce dentro. Il punto di contatto sei tu, che non ci capisce più nulla. Hai bisogno dell'uno e dell'altro per sistemarli entrambi. Sai che affrontare sprezzante delle conseguenze il fuori, ti porterà un po' di ordine dentro. Ma il limbo è come il letto caldo alla mattina, in cui anche se sveglio e vuoi uscire, temi il gelo.

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Perchè le cose tue, quelle che hai, le hai dovute prendere sputando dolore? E perchè, invece, le cose belle non sono mai tue, sono già prese, da altri, da qualcun'altro, e non puoi averle? Perchè, perchè poi finisce che devi cercare altrove la bellezza? L'egocentrica mia stupida e infantile ingiustizia...