venerdì 23 luglio 2010

22 luglio.

Ecco, ci risiamo. 22 luglio. Una data innocua, per i più. NON PER ME.

Esattamente due anni fa, accadeva l'avventura a Barcellona, sì quella in stile survivor, quella che ho raccontato proprio qua su questo blog. Ecco, oggi pensavo che era il suo secondo anniversario! Che bello!

Ma.

C'è sempre un ma.

Ma al destino crudele e bastardo, al dio nullafacente e infingardo, al caso meschino e bugiardo, tutto questo ancora non bastava.

C'era una volta un corso del secondo anno di edile-architettura. Era un corso composto di persone allegre, vivaci, ragazze biondemorerossecastanenerescure, e chi più ne ha più ne metta. Ignari del pericolo che li aspettava, come uno specializzando che si trova nelle vicinanze di Jack, il paziente dall'alzhaimer galoppante (Scrubs docet), questo povero grumo di persone si accingeva nel lontano martedì 6 ottobre del 2009 ad affrontare le prime 7 ore dell'esame che avrebbe loro rovinato la vita sociale dell'anno corrente: composizione architettonica, I. Ora, già il professore si chiama Boschi, io mi chiamo Albero, facciamo un po' i nostri conti...

Comunque, allegri e spensierati (?) concludiamo trascinandoci dietro ore ed ore di lavoro e ancora più ore di sonno arretrato l'anno accademico. Bene! Si dà l'esame!

NO.

E invece NO.

Perchè, dopo che hai studiato almeno 8 ore al giorno per un bel po' di tempo, dopo che ti alleni e tutto, è normale prendersi una piccola pausa. Per rilassarsi. Che fai? Come ho detto prima (ehh mica le dico così per fare le cose io!), Scrubs docet. Quindi guardo scrubs. Con un bel bicchiere di latte zuccherato pronto da bere.

Guardi scrubs sul letto. Bicchiere di latte con CUCCHIAIO. Sei rilassato. Ti giri un secondo per cambiare posizione. Sei stanco, mezzo addormentato, volevi uscire con i tuoi amici: hai la testa chissà dove. Il cucchiaio si muove, ma tu non lo vedi. Sei insettofobico, e qualche volta hai visto qualche animale strano in casa, che hai prontamente schiacciato, ma non te lo aspetti nel bicchiere di latte. Scambi il cucchiaio che si muove per un animale. Reazione istintiva: movimento veloce del braccio. Il bicchiere di latte è pieno: straripa. Dove? Ma sul computer! Ovvio! Murphy docet, pure lui!

Problema: latte = liquido -> danno al computer. Quindi: giri immediatamente il computer dopo una breve asciugatina. Secondo pensiero: liquido -> evapora -> phon. Phon! Prendi il phon per asciugare il computer. Tragicomico.

Passi il phon sulla tastiera. Velocemente. Non ti soffermi su nemmeno un tasto. Contento e felice, lo sollevi. Orrore: dei tasti di plastica, per via del calore si sono deformati e non funzionano più!!! Ben 3 tasti del cavolo diventano inutilizzabili! Mannaggia! Allora li stacco, cercando di ripararli, rimodellarli col calore... niente. Ma niente da fare. Allora? Non posso mica lasciare tutto così!

Ma come ho fatto a scrivere questo post? Semplice! Siccome sono inggggegnere, allora ho pensato subito a una repentina soluzione: devo trovare qualcosa da appiccicare sulla gommina rimbalzante del tasto per aumentarne la base di pressione, adatta ai miei polpastrelli e camuffabile. Pensa, pensa, pensa... dove cavolo lo trovo un quadrato (anzi 3 quadrati) 1.8x1.8 cm, a mezzanotte, in casa? Non lo trovo! ... cartonlegno.

Cartonlegno. Mi fabbricherò i tasti col cartonlegno e poi lo riporterò in assistenza una volta dato disegno 2! Perfetto... fortuna, l'intelligenza non dipende dalla sfiga, e quindi l'idea funzionò... e funziona tutt'ora, ad articolo finito. Alcuni tasti vecchi, sono un po' più duri per via dello zucchero, ma ho fiducia che tutto si risistemerà.

Conclusione? Sono insettofobico paranoico, ho un computer con 3 tasti di cartonlegno dipinto (eh sì perchè l'ho dipinti di nero proprio come gli altri tasti) e altri 3 induriti tantissimo, e non ho ancora finito Scrubs. Che ne dite, secondo voi, c'è una qualche relazione particolare che tutto questo mi sia accaduto il 22 luglio??? Ai posteri l'ardua sentenza. (e ai poster... ai poster... boh, i poster si attaccano al muro e via).

martedì 6 luglio 2010

Elleapostrofo.

Siamo uomini. Nella storia, è sempre venuto fuori qualcuno a dirci che siamo soli, siamo in compagnia, o che qualcuno ci vuole bene lassù. Ma prima di tutto siamo uomini, inteso come specie.
E vaghiamo così, uomini perduti su questa cosa non sommersa dal mare che chiamiamo Terra. Perché? Ce lo siamo chiesto tutti prima o poi. Che vogliamo fare? Perché lo facciamo?
In realtà siamo solo egoisti. Vaghiamo per noi stessi, per il nostro puro desiderio di vita, inscritto nelle fila del nostro istinto, che si è formato da qualche milione di anni a questa parte, da qualche misera cellula a uomo completo. Egoismo… sano, puro e giusto egoismo. Nessuno dice il contrario. Almeno, nessuno che venga bollato come “normale”.
Il problema è che non sappiamo cos’è la vita. E allora ci poniamo degli obiettivi noi stessi, giusto per distrarci dal nostro senso di ignoranza: soldi, famiglia, piaceri, vizi, conoscenza… ma latente sotto di noi rimane quella sensazione di incompletezza. Come ha scritto Primo Levi, l’uomo non è mai contento: vede sempre la sua vita come una successione di problemi, e quando ne togliamo uno, ne vediamo un altro che era nascosto proprio dietro di lui. E non siamo mai contenti. Siamo solo dei grandi problem solvers noi. O meglio, ci siamo ammaestrati da soli ad esserlo.
C’è chi è più furbo e dice: voglio raggiungere la felicità. Si crede molto furbo, ma non lo è, perché la sua sarà solo una felicità fittizia, che si auto-impone: per molto tempo può andare bene, ma poi arriva alla resa dei conti e ti accorgi del tuo teatrino costruito su misura, di quello che hai ignorato per far tornare tutto nell’equazione della felicità. Sì, perché la vera felicità è bastarda: arriva da sola, quando le pare, come le pare. Il massimo che uno può dire è che vive per quei momenti, ed è giusto e furbo per davvero questa volta, perché la vera felicità ti travolge e ti fa sentire in risonanza con tutto l’esistente del mondo.
Sono riuscito a scrivere finora senza nominare la parola più spaventosa dell’intero vocabolario italiano: l’amore. Sì, perché l’amore, quello con “elleapostrofoamore” tutto scritto maiuscolo, fa paura. Perché è lui la vita, è lui che non riusciamo a trovare, e ci costruiamo delle distrazioni tutto intorno a noi quasi per dimenticarcene. L’amore è ciò che ci manca, e tutto il resto sta piano piano prendendo il sopravvento: non ce ne accorgiamo, ma il processo è lento ed inesorabile, e come la pappina preconfezionata del neonato va bene a tutti, fino poi ad arrivare ad affermare che “non è poi così male”. C’è chi si innamora delle proprie distrazioni poi: chi del proprio lavoro, chi della propria compagna un po’ bruttina ma sempre gentile o di quella bella e stronza, o di quella bella e sempre gentile ma sbagliata, chi dei soldi, chi di sé stesso. Non è un grande male: alla fine, qualcosa così si guadagna sempre. Un po’ di felicità, un po’ di serenità, sebbene sia dettata dall’abitudine e non dalla passione vibrante scritta dentro di noi e coperta da una pesante coltre, che non riusciamo a togliere da soli. Questa passione ce l’abbiamo tutti diversa: ma quando trovi chi o cosa riesce a toglierti questa coltre, allora hai trovato davvero l’amore. L’amore è qualcosa che riesce a levarti questo peso dal cuore, troppo grande per te, con la stessa leggerezza che si ha nel soffiare una piuma verso l’alto. L’amore è qualcosa cui ti puoi abbandonare a braccia aperte, perché sai che anche dall’altra parte sta succedendo la stessa cosa. E non te ne frega più di niente, tutto il resto è in secondo piano, grigino e spento al suo confronto. Non ha bisogno di parole, di gesti eclatanti, di nulla: è lui che comanda e fa tutto, è il terzo incomodo tra due soggetti innamorati. Con l’amore, due persone non hanno bisogno di fare nulla. Basterebbe lasciarli da soli in un luogo bianco, senza pareti, rumori, completamente vuoto, per vederli sorridere l’un l’altro mentre si guardano negli occhi, felici come non mai. Perché hai la vita, le distrazioni le puoi lasciare agli altri. Hai l’amore.